26 ottobre 2006

Vecchio, ti diranno che sei vecchio

In questa giornata molto lunga, ho già avuto l'occasione di perdermi in un paio di occasioni: sveglia con molto anticipo alle 6.30, la radio suona mentre ho quasi il timore di accendere la luce per tenermi sveglio; dopo venti minuti di completa inerzia, scendo in cucina: colazione, pulizia veloce della casa, preparo il pranzo al sacco per oggi e poi di corsa rifaccio il letto e mi butto in macchina. Troppo tardi, non posso più andare fare il pieno all'auto, e così ripiego per il prelievo al bancomat: peccato che la filiale della mia banca nel paese in cui lavoro non c'è più. Sconsolato per tutto il tempo buttato via, con largo anticipo mi dirigo verso l'ufficio e passo davanti ad una scuola elementare. Ecco due donne.

La prima. Bella come il sole, minuta e graziosa allo stesso tempo, il giubbettino rosa e lo zainetto multicolore le fanno risaltare la sua pelle, nera; il suo passo stentato è l'emblema di chi non ha un grande desiderio di andare a scuola, o forse sta pensando a quella bambola che ha lasciato a casa e che ha tanto bisogno di lei. Il sorriso è un po' stentato proprio come gli occhi hanno uno sguardo perso nel vuoto, forse non conosce ancora bene i propri compagni di scuola, forse la sua migliore amica non è ancora arrivata e non può correrle incontro.

L'altra. Molto alta e magra, una tintura di un nero quasi corvino fin troppo eccessivo, un paio d'occhiali che cela uno sguardo ben fisso verso il gruppo vicino al cancello d'entrata; l'aspetto austero va a nozze col suo passo deciso, s'affretta ad attraversare l'incrocio pensando alle faccende da sbrigare in seguito, ma ha per mano quel tesoro prezioso e tanto desiderato dal figlio un po' sfortunato.

Quella mano, che porta i segni del tempo, mi ha ricordato quest'uomo sentito alla radio poco prima: egli ha messo in fila tante parole con le sue mani, ma è stato tradito da esse. Da giovane, e non da vecchio.
La mano
La mia mano a farfalla
bestiola spaventata
frullo d'ali improvviso
di preda impallinata
di rifugio in rifugio
di taschino in taschino
ha una sola speranza:
che voi dimentichiate
le sue dita agitate
che riempion la stanza
mentre s'inventa il vento
o vi racconta il mare...

Nata per lavorare
sul palco della vita
per farsi perdonare
arranca inutilmente,
eppure l'ho avvertita:
faccia quel che si sente,
io la continuo a amare,
pur se perdutamente...

Bruno Lauzi

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