30 aprile 2007

Allucinazioni

Il benzinaio è vicino, ho il sole in faccia e ho dimenticato gli occhiali, il cellulare squilla ma non ho voglia di rispondere: so già cosa mi verrà detto, so già cosa dirò e cosa non dirò.
La mia mente è altrove, in un luogo che non so nemmeno dove sia.
La luce scompare, mi ritrovo nell'abitacolo della mia auto ma non sono solo, è affollata. Nell'oscurità vedo visi familiari, contemporaneamente ascolto sonorità gioviali e pensieri di cui non posso fare a meno. Adesso la luce è abbagliante, voci amiche si mescolano a cupi rumori.
Improvvisamente nella penombra due occhi ammalianti mi seguono, mi scrutano: io li ignoro, sono stato sedotto troppe volte nella mia vita, mi rimetto gli occhiali da sole per nascondermi da loro. Il sole brucia.
La mia mente è altrove, in un luogo che forse riesco ad immaginare, vorrei comunque rimanerci a lungo.

Puoi prendere una strada che ti porti alle stelle. Io posso prendere una strada che mi porti fino in fondo. (Nick Drake)

Ma dove cazzo finirò? Che due coglioni, che due coglioni.

28 aprile 2007

Pannolini

In piena pausa caffè al lavoro, il mio cellulare squilla brevemente, non faccio quasi a tempo a leggere il numero; è un fisso ma non è memorizzato nella rubrica, inoltre dal prefisso e dai numeri seguenti mi convinco sempre di più che appartenga al mio distretto: preso da un'insanabile preoccupazione in stile "oddio la casa" "oddio il gas" "oddio l'acqua", mi precipito su internet per reperire, tramite il sito 1254.it, il proprietario.
Non l'avessi mai fatto.
Quel numero appartiene all'edicola vicino a casa mia, gli edicolanti proprietari sono gay, sicuramente uno dei due ha trattenuto il mio cellulare quella domenica in cui mi sono fermato a far la ricarica.
Mi sono preso uno spavento che mezzo ne bastava, potrei persino denunciarlo. Non riesco però a capire se è un'atteggiamento infantile oppure da vecchio decrepito senza speranze: in entrambi casi, serve un pannolino.

Che bei ricordi della mia infanzia...l'ippopotamo Pippo!

Altro che viola...nero!

Crescete gente, crescete.
Crescete cari venticinquenni, aprite gli occhi e fate andare il cervello, gli ex stronzi rimangono tali.
Crescete cari trentenni, è inutile che facciate i bulli proprio mostrando i muscoli quando i vostri antagonisti sono diventati delle nullità
Crescete care quasi quarantenni, siete vittime di un'egoismo che nemmeno voi v'immaginate
Crescete care sessantenni, provate ad intedere la vita come qualcosa di diverso rispetto alla tabellina del 6 o ad un dogma da rispettare
Crescete cari settantenni, altrimenti vi accorgerete di non avere mai avuto bambini quando i vostri figli saranno troppo grandi per esserlo

Potevo usare lo sfogatoio di Witty...sarà per la prossima volta, vero caro Witty?

24 aprile 2007

Essere o avere?

In questo ultimo periodo la parola che si addice di più ai miei modi di fare è apatia.
Sarà la primavera che con il caldo praticamente estivo mette a dura prova la mia ipotensione; saranno le allergie che cominciano a farsi sentire in modo deciso, il mese prossimo sarà difficile da sopportare.
Queste problematiche stagionali vorrei tanto che fossero pure causa della mia quasi totale indifferenza verso papabili partner, purtroppo non lo è: fosse così, una dose aggiuntiva di antistaminici e razione doppia di ginseng+guaranà e sarei pronto a passare ai raggi X il primo manzo che pascola per i verdi prati della pianura padana; invece no, il tempo passa, le tue attenzioni sono rivolte solo a te stesso e al tuo benessere psico/fisico (stress? pussa via!), punti al puro divertimento e tralasci le cose che rappresentano le fondamenta di una casa: i sentimenti. Ogni volta che mi accorgo di questo stato, mi pongo il solito dilemma: essere o avere? Essere richiama benessere, pensare a se stessi mette al riparo da ogni minima frustrazione, chiamiamolo sano egoismo; avere significa possedere (non materialmente) una chance in più, scommettere su una persona che ti "smuove qualcosa" vuol dire mettersi in gioco, in pratica far uscire i propri sentimenti.
Io credo di essere arrivato allo stadio più pericoloso, quando la voglia di starsene da soli è infinitamente più potente della carica emotiva che ti può dare qualsiasi umano: avanti così insomma, e prendo un volo di sola andata per l'Antartide in cerca di amicizie tra pinguini.
Quando poi sei incazzato per problemi di altro tipo e, in discoteca al sabato sera, gli amici ti spingono verso il primo a cui hai rivolto un giudizio estetico positivo, dove trovi le energie per farti coinvolgere? Lo conosci, ci sono cose che ti interessano di lui ma come al solito nel tritacarne del tuo cervello finiscono buoni propositi e disinteresse cronico, da quel miscuglio puoi ricavarne solo una confusione enorme.
Cominci a prevedere tutto, cena per conoscersi, passeggiata rilassante, lui ti parla dei suoi ex, tu gli parli dei tuoi, ti accompagna alla tua macchina, scambio di effusioni e convenevoli, ti ringrazia per averlo raggiunto fin là e alla prossima. Data di scadenza del rapporto: 24 maggio 2007. Fin dal principio capisci che è colpa tua, che sei partito col piede sbagliato, che non si ottiene nulla se pretendi che dall'altro ti vengano offerte le possibilità per metterti in gioco, che la sola cosa a farti compagnia è stato il timore di bruciarsi nuovamente.

Qualcuno può darmi una risposta valida, un antidoto a questa situazione? Una consiglio, una sberla, un rimprovero, un incitamento.
Silvestri forse lo sa, ma non ho il suo numero di cellulare e soprattutto a me un'ora mica mi basta!

Le cose che abbiamo in comune sono 4.850
le conto da sempre, da quando mi hai detto
"ma dai, pure tu sei degli anni '60?"
abbiamo due braccia, due mani ,due gambe, due piedi
due orecchie ed un solo cervello
soltanto lo sguardo non è proprio uguale
perché il mio è normale, ma il tuo è troppo bello
Le cose che abbiamo in comune
sono facilissime da individuare
ci piace la musica ad alto volume
fin quanto lo stereo la può sopportare
ci piace Daniele, Battisti, Lorenzo
le urla di Prince, i Police
mettiamo un CD prima di addormentarci
e al nostro risveglio deve essere lì

[...]

Le cose che abbiamo in comune
sono così tante che quasi spaventa
entrambi viviamo da più di vent'anni
ed entrambi, comunque da meno di trenta
ci piace mangiare, dormire, viaggiare, ballare
sorridere e fare l'amore
lo vedi, son tante le cose in comune
che a farne un elenco ci voglio almeno tre ore... ma...

Allora cos'è
cosa ti serve ancora, a me è bastata un'ora...

Daniele Silvestri > Prima Di Essere Un Uomo (1995) > Le cose in comune

19 aprile 2007

Il principe cavalcatore (non Cavaliere)

C'era una volta un principe viola. Eh sì, miei cari, anche in questa fiaba esiste un principe ma questa volta non salva la sventurata di turno ricoprendo un banale ruolo di comparsa, bensì è il protagonista della storia.
Questo principe viola vagava per la sterminata pianura padana alla ricerca di un campione di nuoto o di un musicista: aveva questa fissa, gli piacevano solo queste due categorie ma puntualmente incontrava architetti, autisti di pullman, studenti, parrucchieri (ehm shampisti, ndr.), pizzaioli, traduttori e così via.
Il fedele cavallo bianco Fiso lo accompagnava nei suoi viaggi sulla A4 nella sola speranza che al prossimo Autogrill trovi il panino Capri con della buona biada; nei giorni feriali percorrere certi sentieri diventava un'impresa epica, il suo padrone anziché farlo galoppare sulla corsia d'emergenza, lo costringeva a rimanere in coda assieme a tutti gli altri cavalli.
Questo bel cavallo fu donato al principe cavalcatore (non Cavaliere, ben inteso) quando il giovane rampollo della dinastia dei Blasphemi compì 23 anni, e da allora furono inseparabili compagni d'avventure.
Il nostro principe viola a volte era sconsolato per le innumerevoli delusioni in cui incorreva, altre volte era sereno perché sapeva che accanto a lui c'era una bestia che valeva più di un umano; Un dì di luglio il principe viola, a furia di essere scambiato per il Mago Zurlì o per Roberto Bolle, indossò la sua migliore calzamaglia (che a Luglio...voglio dire...è una bella fatica, ndr.) e lasciò la corte del padre raggiungendo la tenuta estiva con l'auspicio di sentirsi un po' più libero; a settembre dello stesso anno, passando davanti ad un'agenzia per matrimoni temporanei si decise a lasciare un annuncio come questo:

A.A.A. cercasi nuotatore aitante o musicista dannato che voglia intraprendere una relazione temporanea (superiore però ai tre mesi). Astenersi estimatori del marrone e perditempo.

Aveva diversi amici cavallerizzi, ma tutti o quasi avevano già un bell'Antonio accanto, un po' era invidioso ma non si disperava affatto, la sua porca figura la faceva ancora.
Il nostro principe viola era sì un sognatore, ma spesso la vita quotidiana lo riportava con i piedi per terra: sapeva bene che le favole come quella di Biancaneve e Cenerentola appartenevano ad un passato che non poteva più tornare, ormai la facevano da padrone i metrosexual, i fashion victim, i grandifratellini e Alda d'Eusanio. Lui, con la sua antiquata calzamaglia, non era poi così di moda anche se al cavallo regalava dei ferri firmati Prada.

Un bel giorno...

Questa fiaba non è finita, l'ho estratta dall'enciclopedia delle fiabe ricevuta in regalo per aver ordinato una confezione di reggiseni della quarta misura tramite Postalmarket (possono sempre servire come posacenere!). Forse non è nemmeno una fiaba, nella prefazione non c'è scritto se c'è un lieto fine, ma forse è una fiaba moderna senza finale (che ne so io!); quel principe viola potreste essere proprio voi, o quello che vi sta cercando da tempo mentre voi vi nascondete ben bene in una dark room.
Sono nove volumi solo per questo racconto, quindi stateve bboni e aspettate la prossima puntata: del resto,
come diceva un fanciullo che aspirava al successo come cantante qualche tempo fa, non è finita finché non è finita.

Sto ascoltando: Lenny Kravitz - It ain't over 'til It's over

16 aprile 2007

Professionalit...ò (che...genere!)

Oggi il mio capo ha inviato una e-mail a tutti i dipendenti della nostra ditta, una "comunicazione di servizio" che riporto qui di seguito:

Nelle organizzazioni composte da più persone come la nostra è ormai invalso il metodo, molto corretto, di rispondere al telefono presentandosi.
Vi sarei grato se d’ora innanzi rispondeste al telefono nel seguente modo:
NomeDitta buon giorno, sono NOME o COGNOME.
Per le femmine direi di rispondere con il nome, i maschi con il cognome.

Lì per lì, m'è venuta in mente una battuta del genere: ma io rispondo con nome e cognome? Era già arrivata una comunicazione del genere in passato, ma questa volta credo si sia raggiunto il ridicolo. Non ho mai apprezzato queste formalità, sono un po' come giacca e cravatta in banca, però tutto sommato mi sono sempre adeguato. Ciò che trovo aberrante è il messaggio che si vuol far passare, ossia le sguattere si devono presentare col nome e invece noi che "ce l'abbiamo duro" possiamo usare il cognome che abbiamo ereditato dai nostri antenati (maschi ovviamente).
Mi viene in mente anche quest'altra riflessione, fatta da qualcun'altro però:

Perché dire no, oggi, a forme di convivenza stabile alternative alla famiglia, ma domani alla legalizzazione dell'incesto o della pedofilia tra persone consenzienti?

A pensarci bene, queste affermazioni hanno le medesime radici culturali. Ma la civiltà progredisce?
Qualcuno spieghi al mio capo che il cielodurismo padano è una roba da diciannovesimo secolo e soprattutto che il termine "professionalità" è di genere femminile.
A Bagnasco invece non dite nulla, anzi non scrivete nulla (soprattutto sui muri, per carità Ruini si offenderebbe).

10 aprile 2007

Fil Rouge

So benissimo di essere un po' fuori tempo massimo, ma la solita curiosa coincidenza mi ha ispirato per una delle mie solite riflessioni.
Questo weekend pasquale è scivolato via tra pomeriggi sonnacchiosi, nottate passate a dormire fin dalle 22 o a calcare i pavimenti scivolosi di una discoteca milanese fino a mattina; domenica sera, nel luogo meno indicato ho sentito lanciare un appello a riflettere per ciò che era successo al sedicenne suicida di Torino: un applauso ha coperto quelle parole che venivano dette al microfono da una donna, molti se ne stavano composti con le mani in tasca, altri partecipavano sentitamente quasi come per rendere giustizia a qualcuno che ha deciso di buttare via la propria vita per un insulto. Quanti siano stati quelli che hanno avuto l'istinto di applaudere ma pervasi da un sentimento di totale confusione non lo so, ma io ero tra quelli, e ora voglio darvene una motivazione ben precisa.
Il fatto credo sia arrivato all'attenzione di molti, i media ne hanno parlato a lungo, alcuni di essi dimostrandosi poco obiettivi e nuovamente avvezzi a quella brutta abitudine che viene scambiata per perbenismo e "rispetto ai familiari" chiamata ipocrisia: Studio Aperto, uno a caso, nel servizio di sabato mattina ha fatto intendere che il ragazzo "si era suicidato solo perché i suoi compagni gli davano del gay, mentre lui era solo un ragazzo gentile"; ammettiamo pure che questo povero ragazzo non sia stato omosessuale, ma che bisogno c'era di far passare il messaggio che quei froci di merda non possono essere scambiati per dei ragazzi gentili? Scusate il linguaggio scurrile e lo sfogo. Alcuni blog che leggo abitualmente hanno trattato in diversi modi la notizia, mantenendo un comune profilo realista e perfettamente condivisibile.
Fin qui, direte voi, ci sono solo le ragioni per battere le mani a favore di una causa assolutamente giusta. Corretto, ma c'è un elemento che lega il mio ragionamento all'impotenza che ha sentito fortemente quel ragazzo, in mezzo c'è Abdellah Taia.
Durante il mio viaggio a Barcellona dello scorso ottobre, cercai di mettere alla prova il mio spagnolo anche leggendolo: la domenica in cui mi presi un giorno di relax al mare, comprai El Pais e nell'inserto settimanale EPS lessi questo articolo; fortunatamente ho sempre la buona abitudine di conservare come ricordo i giornali, e ora ho davanti a me questa rivista. Cercherò di riassumere per chi non comprende lo spagnolo, e per tutti quelli che non conoscono questo personaggio visto che su Internet ci sono pochissime pagine Web in italiano su di lui.
Abdellah Taia è un trentatreenne marocchino e scrittore residente a Parigi da diverso tempo, città che lo ha accolto con molta freddezza, ma che gli ha permesso di dar voce alla propria causa. Lui è il primo marocchino che ha avuto il coraggio di rompere un tabù, dichiarando pubblicamente la propria omosessualità, ancora punita col carcere nel proprio paese. E' stato in questi ultimi anni riconosciuto come uno scrittore molto capace, e forse la sua bravura è stata offuscata dai media (arabi e francesi) che hanno ovviamente cavalcato a proprio beneficio la notizia. Nacque in un quartiere molto povero di Salé, cittadina vicina a Rabat, e nel suo lungo articolo racconta di una società fortemente ipocrita, che nega l'omosessualità ma allo stesso tempo ignora la possibilità che possa essere vissuta privatamente. A dieci anni, oltre ad aver avuto già contatti con persone coetanee dello stesso sesso, aveva pure un amante ventiquattrenne. Nemmeno negli ambienti religiosi, scrive, tutto ciò era estraneo: il proprio maestro della scuola coranica era solito ad intrattenersi coi discepoli, e in Marocco tutti sono a conoscenza del fatto che molti di essi sono pedofili ma nessuno si preoccupa, inviando i propri figli in questi luoghi esponendoli a possibili pericoli. A tredici anni Abdellah ha visto con i propri occhi gli abusi subiti da un proprio compagno di scuola, violenze verbali e sessuali che lo portarono a nascondere profondamente il proprio segreto, maturando però il desiderio di renderlo vivo in un futuro non troppo remoto attraverso gli studi. Ora che vive a Parigi, ha la possibilità di spiegare al mondo le proprie ragioni, le proprie sofferenze, le proprie convizioni. Scrive:

In Marocco è necessario dimenticare la vergogna che ci fanno sentire fin da piccoli e arrendersi alla lotta. Non dire il vero significato delle cose, cedere alla dittatura di una società nella quale ci chiniamo molto velocemente alle gerarchie e alle tradizioni secolari che, invece di mostrarci la via per la libertà, si preoccupa prima di tutto della propria permanenza.

Il suo racconto mi è piaciuto molto, e rileggerlo mi ha fatto pensare alla possibilità che esista un sottile filo rosso che leghi lui, quel sedicenne, me e molti altri. Il silenzio, la vergogna, le violenze verbali e fisiche fanno parte di questo mondo, e la nostra società seppur "superiore" (espressione orribilmente comune) non ne è esente. L'elemento che mi crea enorme confusione in testa è l'impotenza che può avere non solo una voce fuori dal coro, ma pure chi prende in mano quel megafono per scagliarsi contro certe intransigenze: la rabbia, sentimento condivisibile, è niente in confronto al vuoto creato dal pensiero che in quella società ci siamo pure noi, finora incapaci di usare la testa per alzare la voce o ragionare pacatamente.
I tabù e i pregiudizi non sono mai stati abbattuti solo con le parole, magari ricche di sentimenti ma vuote nei contenuti: a malincuore devo dire che nel nostro paese non c'è più cultura, nessuno si preoccupa più di come arricchire una persona: è solo attraverso la conoscenza che si fa crescere un bambino sano e robusto nei propri convincimenti e grazie alle scoperte quotidiane lo si pone al riparo da miopie nei giudizi; Abdellah riconobbe immediatamente nella conoscenza del francese la sua libertà, lo studio gli avrebbe permesso di superare i propri limiti (e anche quelli degli altri).
Se non ricordo male, pure quel giovane torinese era il più bravo della sua classe, a detta di Studio Aperto.
Quel filo rosso è la cultura.

06 aprile 2007

Il colore viola

Mi piace pensare che la musica si esprima in colori, credo che possa rappresentare ancor meglio l'aspetto artistico. Dal mio punto di vista, il colore degli Scissor Sisters (e di tutta la loro musica) è il viola: proprio come quello di questo blog, un colore brillante e modaiolo, molto pop ma non così comune.

Vi sto parlando degli Scissor Sisters perché proprio ieri sera sono andato al loro concerto all'Alcatraz; li seguo dal primo album, loro statunitensi hanno sconsacrato con stile un tempio, l'Inghilterra, con una cover dance di un capolavoro come Confortably Numb dei Pink Floyd (osannati nel Regno Unito): stravolgere in quel modo un capolavoro della storia della musica senza essere presi a pesci in faccia non è da tutti. Le mie "sorelle" preferite sono così brave nelle provocazioni, nello sfoggiare tanto glamour, ma hanno pure le capacità di far riflettere con canzoni come Return to Oz.
Ieri sera sono stati rappresentati molti colori: il giallo di She's my man, il fucsia di I can't decide, l'azzurro di Confortably Numb, il rosso di Filthy/Gorgeous, il verde di Take your Mama, l'arancione di Laura, il blu di Kiss you off e tanti altri. In mezzo a tutti questi colori, concedetemi di inserire il nero, il nero della t-shirt con pailletes di Paddy Boom che indossava per il concerto (nel suo essere trascurato con pure qualche chilo di troppo, è il mio preferito); abbiamo in comune la passione per due batteristi veramente importanti come Larry Mullen Jr e Stewart Copeland...chi me lo regala per Natale?

02 aprile 2007

Cambio pelle

Fidarsi del proprio giudizio o essere più aperti?
Conosco finalmente una persona, ci si vedeva in giro ogni tanto e questa volta si va oltre il semplice sorriso di circostanza. Persona cordiale, simpatica, oserei dire di un certo spessore: lo saluto con l'augurio di rivederci più in là nella serata, ma poco dopo lo vedo uscire dalla dark room. A fatica ho ritrovato le mie palle cadute per terra, non me lo aspettavo.
Non ho mai avuto un gran rapporto con certi "ambienti", dalle dark giù fino alle zone industriali; riconosco il mio essere bacchettone pur non praticando la caccia alle streghe, ma nonostante pensi che ognuno abbia il diritto di far ciò che vuole del proprio corpo, non riesco ahimé ad avere un pensiero sgombro da pregiudizi. Nonostante mi sia ammorbidito su certe tesi è difficile cambiare a 25 anni, giuro però di essere equidistante tra la Binetti e Patrizia (il trans di Lapo).

Alzai il cappuccio del giubbetto, la pioggerellina scendeva a stento ma il sentirmi al riparo a quell'ora indecente mi confortava. Passeggiando verso l'automobile, ripercorsi la gradevole serata trascorsa coi miei amici: se ne erano andati via prima del solito, io mi fermai una mezz'ora in più un po' per le energie ancora consistenti e un po' per assaporare quella sensazione di vuoto in pista. Camminando a testa bassa avvertii un senso d'incompletezza che mi fece pensare, ma tutto svanì in prossimità della mia auto, quando sentii le note ad altissimo volume di quella vecchia canzone degli Zero Assoluto: provenivano dalla macchina parcheggiata dietro la mia, preso da un'insolito senso di voyeurismo sbirciai e vidi due ragazzi nel pieno (forse) di un ricongiungimento; Le gocce di pioggia sui vetri non mi definirono la situazione, ma uno dei due aveva lo sguardo basso, l'altro probabilmente lo fissava. Qualcosa cambiò.
Girai le chiavi nella toppa e me ne andai.